DESCRIZIONE
Tai ji quan significa letteralmente: “Pugno (per estensione “arte marziale”) del grande estremo o della grande polarità yin-yang, ovvero il pugilato che studia l’armonia taoista degli opposti.
Anticamente era chiamato Shi san shi quan, “Pugno delle tredici tecniche”, Chang quan, “Pugno fluido”, Mien quan, “Pugno di cotone”, Jou quan “Pugno morbido”, Hao quan, “Pugno sciolto”, e Hua quan, “Pugno che neutralizza”.
Il termine Tai ji quan è stato utilizzato per la prima volta nel 1852 circa, con l’arrivo di Yang Luchan a Pechino.
Durante un incontro di quest’ultimo con numerosi maestri di arti marziali, nel quale risultò imbattuto, l’allora noto letterato di corte Ong Dong He, presente all’evento, compose i seguenti versi: “le mani che padroneggiano il Tai ji scuotono il mondo intero, un busto che contiene capacità definitive sconfigge un gruppo di eroi”.

Il Tai ji quan è l’arte marziale interna per eccellenza.
Oggi viene praticata in tutto il mondo soprattutto come raffinata ginnastica bioenergetica e meditazione dinamica dalle comprovate proprietà antalgico-analgesiche e di benessere psico-fisico.

STORIA
Secondo la leggenda il Tai ji quan fu fondato da Zhang Sanfeng (1247-1366?), figura “leggendaria” di “saggio immortale” del tardo taoismo, che visse durante la dinastia Yuan (periodo nel quale la Cina era divisa in Cina del nord, con la dinastia Yuan regnante, e Cina del sud, con la dinastia Song regnante).
Morì a 119 anni e quando i suoi compaesani andarono per seppellirlo lo trovarono “resuscitato”, metafora probabilmente dell’immortalità spirituale della sua grande personalità, cosa che generò il mito della sua immortalità.
Cinque imperatori in diversi periodi della dinastia Ming lo cercarono vanamente tra le regioni montuose più impervie della Cina per “dimostrare la sua immortalità” nella speranza che fosse ancora vivo e che volesse in qualche modo “benedire” la suddetta dinastia (probabilmente si trattava oltre che di propaganda politica anche di una delicata operazione di spionaggio alla ricerca di “dissidenti”).
Il suo nome significa: “Zhang delle tre vette” ad indicare che egli era un esperto nelle arti umanistiche (letterarie e figurative), mediche e marziali.
Queste ultime le avrebbe apprese nel monastero di Shaolin, poi, all’età di sessantasette anni, dopo aver viaggiato ed imparato presso diversi maestri per trent’anni, fu “guidato spiritualmente” presso il monte Zhong Nan dove incontrò un “vero maestro” (Zhen Ren): Huo Long (“Drago di fuoco”) che gli insegnò l'”ultima verità” della sua linea di trasmissione, la Yin Xian Pai, che era nata con Chen Tuan (871-889, il fondatore leggendario del Liu he ba fa).
In seguito Zhang Sanfeng si recò sui monti Wudang dove sviluppò il proprio insegnamento coniugandolo con le arti marziali (quelle di Shaolin, di origine buddista) per mantenere la salute del corpo e chiamandolo all’inizio Wudang pai (“Scuola dei monti Wudang”) o Wudang quan (“Pugilato dei monti Wudang”) e poi Tai ji quan (dopo che, a seconda delle versioni: gli apparve in sogno lo “Spirito di Wudang”; o dopo che vide il combattimento tra una gru ed un serpente; o dopo aver applicato i suoi studi sui classici taoisti, l’Yi Jing, o “Libro dei mutamenti” in particolare, alle tecniche di combattimento dei monaci per “ottimizzarne” l’uso del corpo e della forza).
Egli avrebbe così dato vita ai “tredici principi o tecniche essenziali” shi san zi gang yao, cioè i ba men, “otto cancelli”, e i wu bu, “cinque passi”, alla base dell’arte marziale di Wudang e dunque di tutti gli stili interni.

Secondo il racconto storico a Zhang Sanfeng seguirono un certo maestro Wang Zhong (della provincia dello Shanxi) che avrebbe insegnato il Tai ji (o lo stile di Wudang) a Chen Zhoutong (della contea Wen), l’arte sarebbe passata da questi a Zhang Songxi (c. 1520- c.1590, di Hai Nan, che diffuse l’arte Wudang nel sud della Cina), poi a Ye Jimei (di Si Ming), Jiang Fa (dell’Hebei?), e Wang Zhongyue (dello Shanxi); questi ultimi due diffusero l’arte Wudang nel nord della Cina dando qui origine alle cinque scuole “civili” o “familiari” moderne (Chen, Yang, Wu “grande”, Wu “piccolo”, Sun).

La verità storica e documentabile fa invece coincidere la nascita del Tai ji quan con l’origine dello stile Chen nel 1600.
Il dibattito sulle origini del Tai ji quan è tuttavia ancora in corso, in attesa di notizie ancora più precise e attendibili.

METODO
Il Tai ji quan è caratterizzato da movimenti lenti, morbidi, “naturali”.
I gesti sono “rotondi”, “sferici”, rilassati, e ad alto contenuto propriocettivo: il movimento viene prima visualizzato, poi percepito, poi realizzato dal corpo accompagnato dalla respirazione.
Il centro della pratica è costituito dallo studio dell’ equilibrio.
Bisogna essere “stabili come montagne e scorrevoli come fiumi” per diventare come “una sbarra di ferro avvolta nella seta”.
Queste caratteristiche hanno valso a quest’arte il nome di “Pugilato della suprema polarità”.

Esistono sei grandi scuole di Tai ji quan: la scuola monastica di Wudang (storicamente la prima in assoluto), che prende il nome dall’omonimo massiccio montuoso sul quale è nata, e i cinque stili “civili” o “familiari” che prendono il nome da altrettanti cognomi: lo stile Chen (da Chen Wangting 1597-1664), lo stile Yang (da Yang Luchan, 1799-1872), lo stile Wu (“grande”)-Li-Hao (da Wu Yuxiang, 1812-1880, suo nipote Li Yiyu, 1832-1892, e l’allievo interno di quest’ultimo Hao Weizhen, 1849-1920), lo stile Wu “piccolo” (da Wu Quanyou, 1834-1902) e infine lo stile Sun (da Sun Lutang, 1861-1932).

TECNICA
Tutti gli stili di Tai ji hanno nel loro curriculum lo studio del nei gong (“lavoro interno”), la vera base della pratica per “cambiare” l’uso del corpo.
Seguono poi esercizi propriocettivi e respiratori di qi gong (“lavoro sull’energia”); esercizi di base sulle tecniche specifiche: bu fa (“studio degli spostamenti”), shou fa (“tecniche di braccia”), youn fa (“metodi del corpo”); lo studio delle da lu (“forme”, una “lenta”, e al massimo, una seconda “veloce”), a solo e a coppie per l’applicazione delle tecniche; il tui shou (“spinta con le mani”, detta rou shou, “mani morbide” nella sua forma avanzata), per lo sviluppo della “sensibilità tattile” e la “comprensione delle forze”; le qinna (“afferrare e immobilizzare”), lo studio delle prese e leve articolari, degli squilibri, proiezioni e immobilizzazioni; le forme, a solo ed a coppie, con le armi feudali cinesi (spada singola e doppia, sciabola singola e doppia, bastone, lancia, alabarda, etc.).

PROGRAMMA DELL’ACCADEMIA
L’Accademia Discipline Orientali propone lo studio di quattro stili di Tai ji quan:
1) lo stile Chen, il più antico degli stili familiari, che ha conservato inalterate le sue caratteristiche marziali;
2) lo stile Yang, il più diffuso al mondo;
3) lo stile Wu “piccolo”, forse il più “interno” di tutti;
4) lo stile Li (di Li Ruidong), tra i più rari e “vigorosi” Tai ji che si possano trovare in occidente.